La gobba del bisonte: molto più di un inestetismo cutaneo

gobba del bisonte

La gobba del bisonte appare come un inestetismo cellulare/cutaneo che si colloca fra la parte più alta del dorso e la parte più bassa del tratto cervicale. Si presenta come una specie di “gobbetta” sopra le vertebre, ricoperta da uno strato tendenzialmente adiposo misto a tessuto fibroso e poco vascolarizzato. Nel complesso, un risultato alla vista poco gradevole.

Di cosa si tratta?
Quasi sempre questa manifestazione è il prodotto finale di blocchi energetici, vascolari, ormonali, meccanici e respiratori. Gli stress emotivi, gli atteggiamenti posturali e i blocchi respiratori sono quindi i principali promotori di tale fenomeno.

Da un punto di vista prettamente meccanico, ciò che più emerge durante la valutazione posturale è la costante presenza di un diaframma in blocco inspiratorio. Ma vediamo più da vicino la modalità in cui si realizza tale blocco: tutte le persone, di fronte a fenomeni di tensione, paura, ansia, dolore, ecc., reagiscono con la tendenza a trattenere più aria del dovuto all’interno della gabbia toracica. È un atavico fenomeno di garanzia della sopravvivenza. Più aria si incamera e più ci si garantisce resistenza e sopravvivenza. Se questo fenomeno perdura in modo cronico, non dovuto, il diaframma subirà una modifica cronica, ovvero la cupola, la sua parte più alta, non si muoverà più in alto e in basso liberamente, ma tenderà a fissarsi in basso, perdendo efficacia nel fare entrare aria a sufficienza. È proprio di fronte a tale limite che il corpo avverte l’esigenza di trovare una modalità sostitutiva per garantirsi lo stesso quantitativo di aria.

Ecco che interverranno in modo cronico e non dovuto i muscoli scaleni del collo, che sono muscoli respiratori accessori per eccellenza. Per loro natura, cioè, non dovrebbero essere attivati costantemente, ma solo nel caso in cui si svolgano attività particolari quali corsa, ecc. Nel momento in cui gli scaleni agiscono portando il torace verso l’alto per farlo espandere e non si decontraggono adeguatamente, bloccheranno le prime due costole e dunque anche le prime due vertebre toraciche contro la settima vertebra cervicale.

Il blocco meccanico di C7, D1, D2, porterà nel tempo anche un blocco energetico e vascolare in quella zona. Tale distretto diviene come un’area morta che tende a ispessirsi con il passare del tempo. Oltre alla comparsa della gobba del bisonte, si verificherà anche un’alterazione degli spazi fra le singole vertebre comprimendo i dischi intervertebrali, aumentando la probabilità di discopatie, modificando la lordosi cervicale verso un infossamento e una probabile riduzione o inversione della cifosi dorsale.

Come porvi rimedio?
Esiste la possibilità di liberarsi da questo inestetismo cellulare nonché alterazione posturale? È bene innanzitutto partire facendone prendere coscienza al paziente. Si inizia perciò con un’azione di sblocco respiratorio che continuerà con un’educazione respiratoria. Si arriva quindi a trattare la parte direttamente interessata attraverso azioni meccaniche di fibrolisi, ovvero fragilizzazione delle fibrosità che oppongono grande resistenza alla libertà. Tutto questo lavoro verrà infine coadiuvato da posture decompensate così da garantire che tale fenomeno non si ripresenti in futuro.

Già dopo 5 sedute di allungamento muscolare globale decompensato i cambiamenti sono visibili e diventano evidenti dopo 10-15 trattamenti, fino ad arrivare in molti casi alla scomparsa totale e definitiva della gobba del bisonte. 

Va detto che oltre ad essere vittima, la gobba del bisonte diventa a sua volta causa di altre problematiche… un movimento costale ancora più ridotto, un’ulteriore sofferenza e infossatura del tratto cervicale, difficoltà di rotazione del collo, vertebre cervicali sempre più coinvolte e compromesse…

Insomma, trattare la gobba del bisonte non è solo questione di estetica, ma concorre a prevenire e a bloccare sul nascere patologie facilmente ricollegabili a questa condizione considerata erroneamente “innocua” e puramente antiestetica.

Prof. Daniele Raggi
Sophie Mattarelli

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